Le tradizioni gastronomiche santhiatesi sono in parte  quelle tipiche piemontesi, in parte quelle legate alla pianura vercellese, dove la facevano da padrona il riso, i fagioli, la farina di mais, tante verdure e, per quanto riguarda le proteine animali, gli innumerevoli prodotti derivati dall’allevamento del maiale, i pesci d’acqua dolce, le rane, gli animali da cortile.

Non mancano gli scambi con il contiguo territorio biellese: i vini della collina morenica, i formaggi degli alpeggi prodotti da pastori che, non solo in passato, d’inverno transumavano nella piana.

Nel 2014 il Comune di Santhià ha approvato il Regolamento De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine) per i prodotti tipici che gli operatori, ma anche i comuni cittadini, vorranno proporre di iscrivere all’Albo.

In questa sezione del sito troverete alcuni tra i più originali prodotti e piatti tipici della nostra zona.

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La "mula" santhiatese

Si tratta di un salume da consumare cotto. Insaccato nel grande budello dell'intestino crasso del maiale, è prodotto con una miscela di carni pregiate del maiale, lardo e un'anima di... lingua.

Si serve in genere tra gli antipasti caldi, ma anche come secondo fra i bolliti, e si gusta bollita, accompagnata da salsa verde o rossa (bagnet vert o bagnet russ).

"Salam d'la duja" (salame sotto grasso)

Un altro prodotto tipico piemontese, ma particolarmente utilizzato a Santhià (particolarmente noti quelli distribuiti gratuitamente il lunedì grasso nel corso della colossale fagiolata) sono i salami morbidi, ossia freschi. In pratica si tratta di salsicce a pasta abbastanza grossa che, dopo almeno otto o dieci giorni di stagionatura, vengono consumati sia crudi che cotti. Per la loro conservazione mantenendo la speciale morbidezza ed evitando fenomeni di ossidazione che porterebbero ad un progressivo irrancidimento, vengono immersi nel grasso di maiale e da lì estratti per la consumazione a crudo (ottimo il panino!). Il grasso e l'ottima qualità delle carni conferiscono un particolare sapore a queste salsicce  che li distinguono nettamente dalle comuni salamelle da grigliata.

Carpe in carpione

Sono diventate una rarità. Eppure, fino a un paio di decenni or sono erano molto comuni in quanto era prassi frequente immettere avannotti di carpa nelle risaie in primavera. Alla mietitura del riso, in settembre, le carpe erano cresciute ma non molto. Venivano impanate (preferibile la farina di granoturco), fritte in olio e quindi messe in carpione (dose tipo: mezzo litro di aceto bianco e mezzo di vino bianco o acqua, un poco di sale, con aggiunta di salvia e cipolla, il tutto portato portato ad ebollizione). La conservazione (anche per tutto l'inverno) avviene pressando le carpe all'interno di un grosso vaso di vetro (arbarela o burnija), ricoperte del liquido del carpione.

Antipasto piemontese

Tradizionalmente, la sua preparazione avveniva all'inizio dell'autunno, un modo per conservare a lungo le verdure dell'orto prima della sosta invernale. Ma nulla vieta che venga confezionato in ogni periodo dell'anno. E' molto appetitoso e costituisce un ottimo antipasto. Si prepara preparando a piacimento cinque tipi di verdure ridotte in tocchetti: carote, peperoni, cavolfiori, cipollotti, sedano. Cuocerli separatamente con tempi di cottura diversi in modo da consentire a ogni verdura di conservarsi croccante.

La panissa

Costituiva il pranzo più frequente e completo delle mondariso o mondine. Contiene carboidrati (il riso e i fagioli), le proteine (i fagioli e la salsiccia), i grassi (il lardo). Molto gustoso, si cucina in una padella o casseruola di rame stagnato.

La preparazione prevede un soffritto di lardo, cipolle e rosmarino. A parte si prepara una zuppa molto brodosa di fagioli borlotti di Saluggia, con la salsiccia tipica del vercellese, l’alloro e, secondo i gusti, un poco di passata di pomodoro, il sale naturalmente. Al soffritto si aggiunge quindi il riso facendolo grillettare un attimo, quindi si versa una buona dose di barbera a piacere e si fa sfumare.

Segue l’aggiunta del brodo, dei fagioli e della salsiccia sbriciolata, completando il tutto con pepe nero. Si continua la cottura come per un comune risotto. Verso la fine non bisogna più rimestare. Si forma così sul fondo della padella un sottile strato di crosta croccante molto saporita da servire insieme al resto della panissa.

Oggi si usa anche cucinare una versione ligth, che al posto del lardo utilizza olio extravergine di oliva. Un accorgimento gustoso suggerito dal sottoscritto: preparare il soffritto con sovrabbondanza di cipolle, quindi tenerne da parte una metà da unire a fine cottura.

Una disputa aperta è se la panissa debba essere completata con una grattata di parmigiano: data la presenza dei fagioli non ci vorrebbe. Inoltre le mondine non potevano permetterselo, quindi la tradizione vuole che non sia ammessa la sua presenza. Tuttavia c’è chi oggi ama servirla con il parmigiano.

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La "panissa e coi" (cavolo) e costine di maiale

A parte si fanno stufare le foglie di cavolo verza e le costine di maiale con sale e pepe.

Si prepara quindi un soffritto con sole cipolle finemente tritate, si versa il riso facendolo grillettare, quindi si unisce il brodo con i cavoli e si fa cuocere come un risotto. Le costine si consumano a parte. E’ ammesso il parmigiano.

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I fagioli del Carnevale

E’ la stessa ricetta che si utilizza per la preparazione della grande fagiolata del lunedì di carnevale, allestita all’interno di oltre 120 grosse parole (caldere o paioli) di rame.

Si cucinano i fagioli borlotti di Saluggia,  con l’alloro, il lardo e la salsiccia come per la panissa, facendo cuocere a lungo (tre ore circa) e lasciando consumare il brodo in modo da ottenere una zuppa cremosa.

Volendo si può integrare il tutto con le cotiche di maiale abbondantemente pepate.

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La zuppa di trippa ("Buseca")

A Santhià e dintorni la trippa si chiama alla maniera milanese: buseca, con la u francese. E' un piatto tipico della fiera di Santa Caterina, quando gli agricoltori, dopo una mattinata di contrattazioni e chiacchiere, si ritrovavano nelle trattorie per il pranzo a base di trippa, innaffiata da un buon barbera. Si consuma comunque durante tutto l'inverno, bella calda, come si addice ad una zuppa a tutto tondo: infatti non è chiaro se sia un primo o un secondo, sicuramente in passato era un piatto unico.

Si cucina preparando un minestrone di verdure: cipolla, fagioli borlotti, carote, sedano, patate, eventualmente cavolo e abbondante trippa, parzialmente cotta a parte. ad ogni modo la cottura defe essere lunga e lenta, possibilmente in un contenitore di coccio.